#NONSEISOLA

SOSTEGNO A DISTANZA 📱 IN VIDEOCHIAMATA

Difficoltà ginecologiche: sofferenza emotiva e psicoterapia ipnotica

Introduzione

Le difficoltà ginecologiche che una donna può trovarsi ad affrontare nella propria vita arrivano quasi sempre in maniera inaspettata.
Da bambine non ci insegnano che le mestruazioni possono essere dolorose e che questo dolore può nascondere problemi e malattie. A scuola non ci insegnano che la fertilità può trasformarsi in infertilità e che a volte questa infertilità rischia di non avere neanche un motivo o una spiegazione chiara. Durante la nostra adolescenza nessuno ci racconta che le gravidanze a volte si possono “perdere” e che esiste il lutto perinatale. Nessuna di noi cresce pensando di poter provare dolore fisico durante i propri rapporti sessuali.
Eppure tutto questo succede ed è molto meno raro di quanto si possa credere.

Endometriosi, vulvodinia e conseguenze psicologiche

Endometriosi e vulvodinia sono due tra le patologie ginecologiche più comuni. Si stima che possa soffrire di endometriosi una donna su dieci e di vulvodinia una donna su sette.
Caratteristica di queste malattie: il dolore fisico. Il dolore che tocca una parte specifica del corpo, una parte connessa psicologicamente e socialmente al femminile e alla maternità. Un dolore che viene definito invisibile dall’esterno ma che risulta assolutamente visibile dall’interno e dalla prospettiva di chi ne soffre.
I principali risvolti e conseguenze psicologiche di queste malattie toccano molteplici tematiche.
In primo luogo la gestione del dolore fisico all’interno delle proprie attività quotidiane. Dolore che spesso obbliga a modificare le proprie abitudini e i propri comportamenti.
Troviamo poi la percezione di svariati stati emotivi tra cui frustrazione, rabbia, ansia, senso di impotenza, preoccupazione e paura che contribuiscono a creare un importante stato di sofferenza emotiva.
Accanto a tutto questo la donna si trova anche a scontrarsi con diverse difficoltà dal punto di vista sociale e relazionale. Dalla relazione con il proprio partner (considerando anche le difficoltà a livello sessuale) alla gestione delle relazioni con famiglia, amici e colleghi.
Infine ma non meno importante il bisogno di elaborare psicologicamente un’immagine diversa rispetto a quella sempre immaginata del proprio corpo e del proprio femminile.
Affrontare tutto questo diventa essenziale per trovare uno stato di equilibrio e benessere che possa essere il maggiore possibile nonostante la presenza della malattia.

Infertilità, maternità spezzate e conseguenze psicologiche

Si parla di infertilità quando è presente una qualche condizione che ostacola la gravidanza (quando non si trova alcuna causa si parla di infertilità idiopatica). Solitamente entro i 35 anni si parla di infertilità dopo 12 mesi di rapporti liberi non protetti (6 mesi se la donna ha più di 35 anni o se ci sono altri fattori di rischio).
Il termine “maternità spezzata” l’ho iniziato ad usare nella mia pratica clinica per definire tutti i casi in cui la donna si trova a vivere una delle seguenti situazioni: gravidanza extrauterina, interruzione terapeutica di gravidanza, aborto spontaneo (e poliabortività), morte in utero. In tutti quei casi in cui la gravidanza si avvia ma per diverse ragioni non arriva a conclusione.

In questi casi l’alternativa più frequentemente scelta dalle coppie è la strada della procreazione medicalmente assistita che supporta il momento del concepimento e dell’impianto in maniera sanitaria.

A livello emotivo e psicologico le componenti maggiori che intaccano l’equilibrio emotivo della donna e della coppia riguardano sotto diversi punti di vista il concetto di accettazione.

Accettare l’aiuto medico esterno per poter concepire, accettare le attese e lo scorrere del tempo ad un ritmo certamente diverso rispetto a quello desiderato, accettare le emozioni di frustrazione e di impotenza, accettare ed elaborare la perdita, il lutto e il senso di vuoto.

Affrontare tutto questo senza il sostegno e il supporto psicologico rischia di diventare uno scoglio ancora più grande che si aggiunge a tutte le sfide che già si possono incontrare durante questi percorsi.

Sperimentare la mancanza di controllo sul proprio corpo

L’incontro con una di queste problematiche porta inevitabilmente ad un confronto con il proprio femminile e con l’immagine ideale del proprio corpo.
Ci si rende conto nel breve periodo di non aver il completo controllo su quello che il corpo sta sperimentando.
Al dolore e alla frustrazione fisica si aggiunge una grande dose di sofferenza psicologica. La donna si accorge che l’immagine reale del proprio corpo è ben distante dall’immagine desiderata.
La descrizione di questo stato è descritta come la sensazione di essere intrappolate in un corpo che “non funziona come dovrebbe funzionare”. Le donne percepiscono di essere guaste, sbagliate, diverse, rotte. Questi sono gli aggettivi che maggiormente vengono usati per indicare lo stato emotivo che devono affrontare.

Trattamento tramite psicoterapia ipnotica: dall’esperienza all’apprendimento

L’esperienza insegna a tutte queste donne un vissuto corporeo nuovo, diverso e sicuramente “meno piacevole”. L’esperienza insegna che non sempre tutto può essere controllato in precedenza e che non sempre il corpo risponde in maniera automatica ai nostri desideri.
La psicoterapia ipnotica aggiunge alla componente di esperienza una grandissima componente di apprendimento. Un apprendimento che ha un sapore nettamente terapeutico per chi decide di affrontare un percorso di psicoterapia.

Gli obiettivi di lavoro fondamentali di apprendimento diventano almeno tre: accettare una parte di se stessi diversa e difficile, riempire il vuoto percepito interiormente a causa di un corpo che funziona diversamente, lasciare andare quello che non si può pienamente controllare.

Per quanto riguardo l’obiettivo dell’accettazione di una parte di sé complessa e considerata “rotta” utilizzo spesso l’induzione della sterpaglia nel giardino.

“…e mentre ti trovi in quel giardino, immersa tra alberi, piante e fiori, se osservi con attenzione ti accorgi invece di un’altra zona, di un’altra area che è più trascurata, secca, quasi abbandonata. In un primo momento la vista di questa zona ti infastidisce, ti sembra che rovini il paesaggio e i colori di quel giardino ma poi ti soffermi, osservi bene, e inizi a pensare che forse con quelle foglie secce, con quei rami secchi potresti costruire comunque un bel centrotavola o magari un addobbo natalizio. Inizi ad ascoltare con piacere il rumore dello scricchiolio delle foglie sotto i tuoi piedi e tutte le sfumature marroni di quella che inizialmente ti sembrava solo sterpaglia…”


Per quanto riguarda l’obiettivo di riempire il vuoto interiore utilizzo l’induzione del costruire attorno ai buchi, definita anche da una delle mie pazienti “la metafora del formaggio”.

“…e provando a riempire quel vuoto, quel buco si rendeva conto che invece continuava a svuotarsi, era come se tutti i suoi sforzi di colmare fossero vani e andassero quasi nella direzione opposta. Un giorno allora decise di provare a cambiare rotta, a cambiare prospettiva, dopo tanti tentativi decise che doveva fare qualcosa di diverso: invece che provare a riempire, provò a costruire attorno. Un pezzo alla volta, uno strato alla volta, un singolo elemento dopo l’altro. Un giorno quel pezzo era costituito dall’ascolto di una bella canzone, il giorno dopo da un’uscita in compagnia, quello successivo dall’osservare un tramonto. Il vuoto restava vuoto, il buco restava buco, ma tutto attorno stava crescendo la vita, il mondo, il resto.

Si trovò quasi a pensare che quel lavoro interiore era proprio come quello che da piccola chiamava il formaggio con i buchi. Un formaggio tipico, buonissimo, ma che senza quei buchi al suo interno non sarebbe stato lo stesso. E forse era così anche per i suoi vuoti…”

Infine per quanto riguardo il terzo obiettivo, quello di riuscire a lasciar andare ciò che non si può totalmente controllare, spesso utilizzo la metafora della barchetta trasportata dalla corrente.

 “…e io non so se ti è mai capitato, magari quando eri più piccola, di costruire una barchetta di carta e di appoggiarla lungo il corso di un ruscello e di accorgerti come quella barchetta seppur piccola, seppur leggera e apparentemente fragile era capace di galleggiare su quell’acqua. Abilissima a muoversi nella corrente, leggera ma allo stesso tempo capacissima tanto da stupirti della sua bravura perché sapeva lasciarsi andare, lasciarsi trasportare senza fatica anzi sfruttando al massimo proprio la sua conformazione e la sua leggerezza…”

Conclusione

In tutti questi percorsi le donne affrontano un vento interiore che soffia fortissimo. A volte quel vento sembra loro come una burrasca, un mare in tempesta. Quel vento a volte le fa sentire completamente incapaci di trovare riparo, di proteggersi e la sensazione è quella di rimanere in balìa di se stesse. Poi invece arriva il percorso di psicoterapia che gli permette di scoprire che quella tempesta in realtà è qualcosa che gli appartiene. Che quel vento in realtà è comunque un vento che gli appartiene: al loro corpo e alla loro mente. E allora imparano e apprendono, dalla loro stessa esperienza, che quel vento per quanto forte possa soffiare non sposterà mai la loro base interiore, le loro fondamenta.

Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *